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L'ASSASSINO VIENE IN SILENZIO
(UN MEURTRE EST UN MEURTRE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 ottobre 1973
 
di Étienne Périer, Catherine Spaak, Jean-Claude Brialy, Stéphane Audran, Robert Hossein, Michel Serrault, Claude Chabrol (Francia, 1972)
Che la stagione sia poco allegra è dimostrato dal fatto che bisogna dilungarsi su questo film. Film di una certa ambizione, come quelli dell'amico Chabrol che compare fra gli attori (e della banda Chabrol sono in diversi: da Brialy a Stephane Audran), a cominciare dalla sceneggiatura che si vuole zeppa di colpi di scena, per altro in parte scontati, ed originale. Infatti l'assassino è noto fin dall'inizio, mentre le tracce per andarlo a scoprire sono poste in seguito.

Senza scomodare Hitchcock, al quale tutta la compagnia pensa da tempo, Perier è lontano da possedere l'innegabile mestiere di Chabrol. Nelle opere di Hitchcock la trama non è che il pretesto per giungere ad una dimensione registica: le vicissitudini dei personaggi sono il sostegno di una esercitazione estetica che diviene autonoma. Il vero contenuto, per usare un termine datato, di PSYCHO o di VERTIGO non è sicuramente quel tanto reclamizzato «suspense» che apparentemente richiama il pubblico. Ma è il disegno che conduce a questo risultato, il ragionamento dapprima mentale, in seguito visivo che nella sua armoniosa perfezione, che è poi quella dell'arte, costituisce il vero fascino dell'opera. Il pubblico, apparentemente attratto dalla tensione del racconto, ne è probabilmente più conscio di quel che si crede comunemente: l'arte di Hitchcock sta proprio nel fatto di usare lo spettatore come uno degli elementi del proprio spettacolo. Di farlo partecipare, vittima felice, alla gestazione della propria opera in un continuo processo che si rinnova ad ogni nuovo incontro, fra lo spettatore. e, l'opera stessa.Tutto, questo accade in parte anche nelle opere migliori di Chabrol: nello stile dei quali, è comunque sempre presente quel soffio di grazia che permette di raggiungere, con una semplice inquadratura, o un movimento di macchina, una determinata atmosfera.

Tutto ciò per concludere che nel film di Perier è interessante notare come gli ingredienti ci sono, ed in abbondanza: situazioni contorte, colpi di scena, crisi di coscienza. Ma manca l'essenziale: ossia il potere di trasformare tutte queste cose, di per se stesse sommamente banali, in qualcosa di più interiore, di più eterno. Senza quel potere di sublimazione dell'immagine è la volgarità della stessa che trionfa, la sua sconsolante inutilità.


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